venerdì 9 marzo 2012

4. Berlin, ich liebe dich!

Un sabato mattina di fine settembre cominciò finalmente il mio viaggio.
Io non ho mai amato prendere l'aereo, men che meno da sola, quindi l’eccitazione della partenza lasciò presto il posto all’ansia e trascorsi la breve durata del volo incollata al sedile, legata come un salame, rigida come un baccalà, con gli occhi fissi al poggiatesta di fronte a me, e le unghie piantate saldamente ai braccioli.

Quando il comandante annunciò che stavamo per atterrare spostai lo sguardo verso il finestrino e a quel punto la vidi. Berlino stava là. Spalmata per km. Enorme. Una città costretta per molti anni entro confini innaturali e che ora si allargava come un uovo rotto in una padella. Plof. Il rosso al centro e l'albume a coprire tutto lo spazio disponibile intorno.

Vidi questo enorme uovo al tegamino e pensai solo: "Casa. Sono a casa."
Per curare un cuore ferito non c’è niente di meglio che un nuovo amore. Un amore sincero che ti lasci i tuoi tempi e non ti chieda nulla in cambio. Io avevo trovato il mio. Berlino. La verde, immensa, meravigliosa Berlin.
E pensare che a me le uova non sono neanche mai piaciute.

Piena di commozione e con gli occhi lucidi, cercai istintivamente lo sguardo dei miei vicini, per poter condividere almeno con loro tutto l'amore che sentivo esplodere dentro di me in quel momento. Alla mia destra sedeva un ragazzo molto giovane, con un piercing al naso e una testa piena di ricci. Alla sinistra, invece, un signore maturo con un paio di baffoni importanti. Anche i loro occhi erano lucidi. Ne fui sorpresa. Chi l'avrebbe mai detto che i tedeschi, notoriamente formali e riservati, potessero essere capaci di tanta spudorata empatia. Chissà quanti altri pregiudizi avrei visto sfatati nei mesi che mi attendevano. Chissà quante altre incredibili sorprese avrebbero caratterizzato il mio Erasmus.

Sopraffatta dalla forza delle mie emozioni, continuai a passare lo sguardo con affetto e sincera gratitudine a sinistra e poi a destra. A destra e poi a sinistra. Ma più li osservavo, più mi sembrava di leggere qualcosa di ostile nel fondo di quegli occhi sconosciuti. Un messaggio inespresso. Quasi una rabbia repressa.
L'uomo baffuto finalmente si decise a farmi un cenno. Io abbassai il capo e con orrore capì.
Vidi le mie mani. Vidi i loro avambracci. Vidi i segni lasciati dalle mie unghie.

Ops!
Sarebbe potuto accadere a chiunque. O no?

Continua...

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